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Sito denuclearizzato

"Sono stanco di sentire che la dignità della vita dipende dal giudizio di qualcuno: io voglio capire cos'è la dignità della vita sulla base di elaborazioni diverse, non solo sull'elaborazione fatta da una persona sana..."                
(A. Bergonzoni)

giovedì 17 dicembre 2009

L'intervista nascosta di Paolo Borsellino

Magari è un documento interessante? Sempre che non contribuisca ad alzare i toni di questo momento politico così delicato...E' in allegato al "Fatto Quotidiano"

giovedì 3 dicembre 2009

Mafia, pentiti, ecc...

Anche se è parecchio lungo, è davvero interessante. Approfondisce bene il tema che spesso viene affrontato in maniera molto superficiale nei tg e nei giornali radio. Spesso le affermazioni (populiste?) dei nostri politici hanno la faccia della ragionevolezza e del buonsenso...basta approfondirle, ma neanche troppo, per rendersi conto che nascondono molte insidie e inganni...

link al testo scritto del video

Video:

Troppo bella

mercoledì 2 dicembre 2009

"Contiene solfiti"

Ma cosa significano queste due parole stampate su tutte le etichette delle nostre bottiglie di vino? Semplicemente che il vino che stiamo bevendo contiene quantità non precisate di vino, comunque superiori ai 10 mg/l (altrimenti si può non scrivere niente). Il fatto è che il vino ne produce piccole quantità naturalmente, e poi di fianco all'indicazione che ne troviamo non viene comunque precisata la quantità....vabbè, a chi interessa c'è questo approfondimento de l'Espresso

Il fuori onda di Fini

Qualcuno già lo vorrebbe come capo dell'opposizione...

martedì 24 novembre 2009

Processo breve

Ma non suona strano che davanti all'urgenza di riformare la giustizia in Italia, il provvedimento più efficace che è stato proposto dal nostro Ministro Alfano sia in grado di cancellare, come lui ripete da giorni, "solo l'1% dei processi in atto"...Viene automatico domandarsi allora dove sia il problema per la giustizia italiana. O forse, per qualcuno, il problema è proprio quell'1%. Peccato che tutti gli uffici giudiziari interrogati come campione per capire la portata del provvedimento, abbiano preventivato un annullamento di un numero decisamente superiore di processi (dal 20 al 50%)...compresi quelli facenti capo a quell'1% in cui l'imputato è il cittadino più in vista s'Italia e, ahimè, per la pessima pubblicità che fa a tutti noi italiani, anche a chi non l'ha votato, in tutto il mondo.

Beni confiscati alla mafia

Fino ad oggi, attraverso la confisca di questi beni, si è potuto fare molto per ricostruire legalità, relazioni sociali sane ed anche economia per tutti e non per pochi. L'esempio sotto gli occhi di tutti è il grande lavoro svolto da "Libera"

Oggi?

Qui c'è un articolo di Nando dalla Chiesa sui rischi dei nuovi provvedimenti che vorrebbe introdurre il governo.

domenica 15 novembre 2009

mercoledì 4 novembre 2009

La ginnastica del carcerato

...io l'ho provato. Davvero notevole!
Per chi non sa l'inglese, l'esercizio va fatto 10 volte, poi pausa di 90 secondi, 9 volte, pausa di 90 secondi e così via fino a uno!

venerdì 30 ottobre 2009

LaLa McCallan

...ma che voce!...ma che capelli!...ma che stile!...ma che amico,dai tempi della scuola media!

Il valore della vita

...Il commento è di Roberto Saviano.
La cosa agghiacciante è la normalità in cui tutto avviene...è tutto così "quotidiano" come andare al bar a bere un caffè...ed è questo che mi fa venire i brividi.

venerdì 23 ottobre 2009

Cuffaro vs Falcone&Co

ma qualche sospetto non poteva venire già allora? E poi la tecnica di sparlare contro gli avversari, senza avere particolari contenuti e/o elementi oggettivi in mano, non assomiglia tanto a quello che si assiste oggi quotidianamente in tv?

La mafia esiste?

sabato 5 settembre 2009

Il "piano esterno"

Nel duello Bertone-Bagnasco spunta il Piano Esterno
Repubblica — 04 settembre 2009
Massimo Giannini

«E ADESSO niente sarà più come prima...». Non è un anatema. Piuttosto è una presa d' atto, dura ma netta, quella che si raccoglie Oltre Tevere in queste ore difficili e amare. SE È vero che Dino Boffo è «l' ultima vittima di Berlusconi», come scrive persino il New York Times, è chiaro che questa vicenda apre una doppia, profonda ferita. Sul corpo della Chiesa, già attraversato da divisioni latenti. E nel rapporto tra Santa Sede e governo, già destabilizzato da incomprensioni crescenti. Per la Chiesa, il doloroso sacrificio di Boffo nasconde la frattura che si è aperta tra Segreteria di Stato e Conferenza Episcopale. Per rendersene conto basta ricostruire le tappe che hanno portato alla drammatica uscita di scena del direttore di Avvenire. Venerdì scorso si consuma il primo atto, con l' operazione di killeraggio del Giornale e il conseguente annullamento della Cena della Perdonanza tra Bertone e Berlusconi. Un colpo a freddo, che nelle alte gerarchie nessuno si aspettava, ma che innesca reazioni differenti. Nel fine settimana Boffo comincia a meditare sull' ipotesi delle dimissioni. L' idea prende materialmente corpo lunedì mattina, quando sul Corriere della Sera esce un' intervista al direttore dell' Osservatore Romano. Una sortita altrettanto inaspettata, quella di Gian Maria Vian, che giudica «imprudente ed esagerato» un certo modo di fare giornalismo dell' Avvenire e conclude con un sibillino «noi non ci occupiamo di polemiche politiche contingenti». Per l' intera mattinata Boffo aspetta una correzione di tiro della Segreteria di Stato. Ma non arriva nulla. Oltre Tevere si racconta di una telefonata di Bagnasco: «Scusate, ma quell' intervista è cosa vostra?», avrebbe chiesto a Bertone. «Non lo è - sarebbe stata la risposta - e ci siamo anche lamentati con Vian, che ha impropriamente parlato in prima persona plurale». Ma questo è tutto. Dalla Segreteria di Stato non esce nulla di pubblico. Così, lunedì pomeriggio Boffo va personalmente da Bagnasco, e gli consegna la sua lettera di dimissioni. Mentre il direttore parla con il cardinale, arriva la telefonata di Ratzinger, che chiede: «Il dottor Boffo come sta? Mi raccomando, deve andare avanti...». Il presidente della Cei riferisce a Boffo, che di fronte al Papa non può certo tirarsi indietro. Martedì mattina lo scenario in parte cambia. Repubblica dà la notizia: solidarietà del Pontefice a Boffo. Solo a quel punto, molte ore dopo, il direttore della Sala Stampa Vaticana padre Lombardi annuncia che Bertone ha effettivamente telefonato al direttore di Avvenire, per offrirgli il suo sostegno. Ma sono passati ben cinque giorni dal siluro di Feltri, prima che la Segreteria di Stato muovesse un passo ufficiale. Intanto Boffo è rimasto sulla graticola. E nel frattempo persino monsignor Fisichella, nel silenzio della Curia, contesta apertamente il quotidiano per le critiche al governo sull' immigrazione. Mercoledì Feltri torna all' attacco, e sostiene che la «nota informativa» che getta fango sulla vita privata di Boffo è una velina uscita dal Vaticano. Padre Lombardi smentisce. E aggiunge l' ultima novità: papa Ratzinger ha chiamato il cardinal Bagnasco, per avere notizie «sulla situazione in atto». Ma dalla Segreteria di Stato ancora silenzio. Così si arriva al colpo di scena di ieri: dopo una settimana di fuoco incrociato, il direttore di Avvenire getta la spugna e se ne va. Ma perché all' offensiva volgare e violenta del Giornale la Santa Sede ha fatto scudo in modo così discontinuo e frammentato? «Qui - secondo la ricostruzione che si raccoglie negli ambienti della Cei - si apre la frattura con l' episcopato». Il cardinal Bertone, due anni fa, aveva lanciato la candidatura di Bagnasco alla Conferenza episcopale con una convinzione, che la realtà dei fatti ha presto svilito in pia illusione: trasformare la conferenza dei vescovi in una «cinghia di trasmissione» della Santa Sede, dopo la stagione troppo lunga dell' autoreferenzialità ruiniana. Il tentativo è fallito, ben prima che scoppiasse il caso Avvenire e che scattasse l' imboscata mediatica ordita dal Cavaliere e dai suoi giornali ai danni del direttore. «Lo stesso Bertone lo ha riconosciuto- raccontano Oltre Tevere - quando qualche settimana fa si è lasciato scappare che la nomina di Bagnasco è stato il suo errore più grave. E certe cose, in questi palazzi, si vengono a sapere molto presto...». Secondo questa stessa ricostruzione, il caso Boffo precipita proprio in questa faglia, che divide Bertone da Bagnasco. E in questa faglia si inserisce anche l' ultima, clamorosa indiscrezione di queste ore: cioè quello che Oltre Tevere qualcuno definisce «il Piano Esterno». Contrariamente a quello che si pensa - raccontano - «il Segretario di Stato non vuole una Cei schierata con Berlusconi, che considera ormai già fuori dai giochi. Il vero progetto che sta a cuore alla Santa Sede riguarda la nuova aggregazione di centro, che ora avrebbe Pierferdinando Casini come perno politico,e che in futuro vedrebbe Luca di Montezemolo come punto di riferimento finale». A questo «Piano Esterno» si starebbe lavorando da tempo, tra Segreteria di Stato e una piccola, ristretta cerchia di intellettuali esterni, laici e cattolici, che orbitano intorno al Vaticano e allo stesso direttore dell' Osservatore Vian. Vera o falsa che sia, questa ipotesi spiega molto di quello che è accaduto e può ancora accadere. Bertone - sostengono ambienti vicini alla Cei - potrebbe aver gestito il caso Boffo proprio in questa logica: usare l' aggressione al direttore di Avvenire prima per rimettere in riga l' episcopato, e poi per assestare il colpo finale contro il presidente del Consiglio, aprendo le porte del paradiso alla Cosa Bianca di Casini e Montezemolo. Di qui, fino a ieri, la difesa intermittente e quasi forzata a Boffo. Di qui, da domani in poi, la rottura definitiva e irrimediabile con Berlusconi. «Niente sarà più come prima», appunto. Vale per la Chiesa di Roma, ma vale anche per il Cavaliere di Arcore.

martedì 23 giugno 2009

Presa di posizione

Finalmente una presa di posizione forte e chiara dal mondo cattolico nell'editoriale del nuovo numero di Famiglia Cristiana

lunedì 22 giugno 2009

l'Antefatto

nasce un nuovo giornale...

Puttanopoli

...sembra il titolo di un gossip, e ormai ridurre tutto a gossip va molto di moda. Così nessuno ci fa più caso o al massimo gli attribuisce un'importanza molto relativa. Bè, questo video è un po' lungo, ad ogni modo va visto. Anche solo per coltivare la capacità di andare oltre a quel (poco) che ci viene proposto attraverso i canali televisivi, generalmente troppo scontato e troppo superficiale per essere assimilabile alla realtà...anche se non si è d'accordo con quanto riportato da Travaglio

Progetto Italia

continuiamo pure a lasciare l'Italia in mano a questa gente...e pensare che in Inghilterra per due videocassette a noleggio pagate con soldi pubblici, si è dimesso un ministro. Ma gli europei, con questi due esempi davanti, a chi daranno una maggiore credibilità?...Sicuramente sarà tutta colpa della stampa di sinistra che li influenza.

Sunday Times :"One night in Silvio Berlusconi's harem"

La Repubblica :"Io nell'harem di Silvio"

Corriere della Sera :"Accesso incontrollato a Palazzo Grazioli.

L'Unità :"Nuove rivelazioni sulle feste del Premier"

El Pais

...accidenti alla libertà di stampa che hanno in Spagna...



per vedere tutte le foto: El Pais

giovedì 28 maggio 2009

Il pericolo per l'Italia

Lo dice Repubblica...ah, è vero, loro non sono attendibili perchè sono comunisti. Però lo dicono anche gli inglesi del Financial Times...comunisti anche loro?

giovedì 23 aprile 2009

Riscostruzione in Abruzzo

Questo è l'articolo di Roberto Saviano pubblicato il 14 aprile su Repubblica e qui c'è la replica di Bondi apparsa sullo stesso quotidiano.
Credo che mettere in evidenza "l'ingenerosità" di Saviano (come dice Bondi), facendolo diventare come del resto Vauro, Giuliani e altri, i bersagli preferiti per l'opinione pubblica, risparmiando invece chi ha fatto sparire le perizie fatte dalla protezione civile 12 anni fa, che riteneva instabili quasi il 90% degli edifici dell'Aquila, o chi invece ha costruito l'ospedale e le altre case in maniera assolutamente "ignorante" sia segno di grande povertà della nostra "civiltà".

giovedì 16 aprile 2009

Piano casa

Alcune riflessioni:

da repubblica.it 
mercoledi 14 aprile 2009 
Che cosa nasconde il piano b del governo 
SALVATORE SETTIS 
La tragedia dell´Abruzzo martoriato dal terremoto spazza via la farsa del cosiddetto "piano casa". Frutto di cinica improvvisazione in caccia di voti, esso prevedeva persino «procedure semplificate per le costruzioni in zone sismiche», fra cui l´abolizione di ogni autorizzazione preventiva, sostituita dal «controllo successivo alla costruzione, anche con metodi a campione». 
Ci sono voluti centinaia di morti perché un residuo di decenza cancellasse (sembra) queste parole sinistre, preludio a nuovi disastri, a nuovi lutti. Conflitti di competenza Stato-Regioni, furberie e tatticismi procedurali hanno ormai consegnato il "piano casa" a una sorta di percorso carsico, da cui esso riemerge ogni giorno in vesti mutate. Ma è vero che il "piano casa", «a furia di passare di mano in mano e dal setaccio delle Regioni, è diventato un pianerottolo» (così Feltri su Libero)? O ha ragione invece Bartezzaghi quando scrive che, accantonato il Piano A, il governo è passato a un Piano B («l´opzione alternativa, la via di fuga, la riserva mentale, la scappatoia»)? E il Piano B, scritto con la voglia del Piano A, non ne avrà conservato, nonostante le copiose lacrime di coccodrillo, le peggiori istanze? 
Per valutare il Piano B e i suoi travestimenti, ricordiamoci quel che diceva il Piano A. Esso incoraggiava ampliamenti indiscriminati di tutti i fabbricati, infestando case e condomini con funeste escrescenze: ampliamenti del 20% degli edifizi ultimati entro il 2008, per giunta con opzione di acquisto dai vicini delle quote di loro spettanza, onde raddoppiare (e oltre) quel 20%; per chi abbatta un edificio, possibilità di ricostruirlo ampliato del 35%. Il tutto in deroga a ogni norma vigente, mediante il ricorso massiccio al silenzio-assenso e alla d.i.a. (dichiarazione inizio attività), che perfino nei centri storici doveva precedere (di fatto, sostituire) il parere delle Soprintendenze, ribaltando la sequenza prevista dal Codice dei Beni Culturali e dal T.U. per l´edilizia. Insomma, la legalizzazione previa di abusi e reati: una vera e propria istigazione a delinquere nei panni di una bozza di legge, un regalo agli «osceni palazzinari di cui ci lamentiamo da anni, ai comuni annaspanti nella corruzione, ai costruttori senza regole e ai politici imbroglioni: uomini che disprezziamo, ma che sono stati prodotti da noi, sono parte di noi, e il nostro disprezzo non ci protegge dalle loro malefatte» (Orhan Pamuk). 
Molto si è reclamizzato il fatto che nel Piano B uscito dalla Conferenza Stato-Regioni del 31 marzo, e rimaneggiato fino al 9 aprile, le escrescenze (la "soluzione 20%") vengano limitate a villette uni e bifamiliari (resta invece la "soluzione 35%" per la demolizione e ricostruzione di edifici residenziali di qualsiasi dimensione), e che ne vengano esclusi i centri storici. Resta da capire come mai una norma che prevede la rottamazione dei fabbricati di bassa qualità costruttiva (quelli che all´Aquila sono crollati come castelli di carta) inciti poi a ricostruirli più in grande senza garanzie di sicurezza; e questo in un Paese che da decenni vede il drammatico calo di tecniche costruttive e controlli pubblici, come le rovine d´Abruzzo dimostrano anche ai ciechi. --
Ma il Piano B fa di peggio. Dove il Codice dei Beni Culturali prevede l´autorizzazione paesaggistica preventiva, con controlli incrociati di Stato, Regioni ed Enti locali (art. 146), si sostituisce la vana opzione di annullamento ex post di quanto già approvato dai Comuni, ma «solo per contrasto con le prescrizioni del Codice»; e ciò in via permanente (secondo una versione), ovvero fino al 2011 (secondo un´altra, che però aggiunge il silenzio-assenso). Peggio ancora, e ancora contro il Codice, un basso espediente causidico nullifica ogni potere e responsabilità dello Stato nella gestione dei vincoli paesaggistici, obbligando il Soprintendente ad esprimersi in una "conferenza dei servizi", cioè a sedere a un tavolo in cui può facilmente esser messo in minoranza dai rappresentanti degli enti locali, anche se privi di competenza tecnica in materia di paesaggio. Si assimilano alla manutenzione ordinaria e straordinaria gli interventi di "edilizia libera", prefigurando un condono garantito a regime, e si estende in perpetuo la sanatoria paesaggistica che il Codice bloccava al 2004. Infine, si delega il Governo a "semplificare" le sanzioni degli illeciti paesaggistici, depenalizzando in particolare le false dichiarazioni tecniche dei progettisti, punibili solo dopo l´accertamento del danno (cioè dopo il prossimo terremoto, dopo altri lutti e rovine). Anche il Piano B calpesta dunque senza scrupoli il Codice dei Beni Culturali, che pure nacque da un altro governo Berlusconi, e a cui ministri e loro lacché continuano a rendere omaggio pro forma, mentre lavorano per smantellarlo. Intanto le Regioni, dopo aver protestato perché il Piano A non rispettava le loro competenze, tacciono, soddisfatte del Piano B, quasi per un patto scellerato: accettano di subire l´invadenza dello Stato sul piano casa, purché i controlli paesaggistici previsti dal Codice vengano posticipati sine die o annullati. 
Questo richiamo al Codice non è l´ubbía di qualche nostalgico. I valori in gioco sono la memoria storica del Paese, la sua dignità etica, il patrimonio naturale e artistico che abbiamo ereditato dai nostri padri e dobbiamo trasmettere ai nostri figli. Sono valori presidiati dalla Costituzione: e sarebbe bene che qualcuno, a Palazzo Chigi e dintorni, andasse a rileggersi l´articolo 9 («La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»), e si ricordasse che, in quanto inserito tra i principi fondamentali, esso è sovraordinato a tutto quel che segue, inclusa l´attività economica privata, che «non può svolgersi in contrasto con l´utilità sociale» (art. 41). Perciò la Corte Costituzionale ha spesso sancito la «primarietà del valore estetico-culturale, che non può esser subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici», e anzi dev´essere «capace di influire profondamente sull´ordine economico-sociale» (151/1986), affermando che il paesaggio è «un valore primario e assoluto, che precede e costituisce un limite agli altri interessi pubblici» (367/2007). Precisamente il contrario della ratio del piano-escrescenze, che fa appello all´egoismo individuale per inondare città, borghi e campagne d´Italia con un´immensa colata di cemento. Sarebbe un delitto contro l´ambiente come bene pubblico, contro la storia e la memoria di questo Paese: questo vuol dire il severo, tempestivo monito del Capo dello Stato contro le «molte insidie alla salvaguardia del patrimonio artistico, culturale e paesaggistico, valori che la Costituzione tutela e di cui impone il rispetto». 
Il terremoto d´Abruzzo è una tragedia per l´Italia, e costringe, oltre le emozioni del momento, a un severo riesame delle priorità nazionali. Se davvero vogliamo "far ripartire i cantieri", questo è il momento di ricordarsi delle leggi antisismiche, ogni giorno disattese: basti ricordare le misure del governo Berlusconi nel 2003 dopo il terremoto di San Giuliano di Puglia, mai entrate in vigore dopo svariati rinvii (l´ultimo dei quali nel recente "decreto milleproroghe"). Anziché costruire il ponte sullo Stretto di Messina (una delle aree più sismiche del mondo, oltre centomila morti nel terremoto del 1908), è il momento di concentrare energie e investimenti in un grandioso piano di messa in sicurezza del Paese (non solo monumenti, ma case, scuole, ospedali, uffici, fabbriche, università, musei) con le tecnologie antisismiche più avanzate, come in Giappone e in California, promuovendo architetture di qualità, inasprendo e non allentando i controlli. 
Anziché legiferare per poi cancellare le norme mediante indecenti sequele di "rinvii", è il momento di attivare la virtuosa ricostruzione non di anonime new town che cancellino memoria storica e identità culturale, ma del prezioso tessuto abitativo, anche "minore", della nobile terra d´Abruzzo, mantenendo le caratteristiche costruttive dei borghi (come dopo un altro terremoto fu fatto, nelle Marche assai meglio che in Umbria). Invece di irresponsabili demolizioni, l´Abruzzo merita una campagna di accurato ripristino: non è un caso che abbiano retto benissimo al terremoto le case della splendida Santo Stefano di Sessanio, sul Gran Sasso, restaurata di recente come "albergo diffuso" nel rispetto delle norme antisismiche. Profitto imprenditoriale e rispetto delle regole di tutela si possono coniugare, salvando vite umane. Non di uno sgangherato "piano casa" ha bisogno l´Italia, ma di un vero piano-sicurezza, che sia insieme un piano-tutela dell´ambiente, del paesaggio, della memoria storica. 

lunedì 6 aprile 2009

"Prevedo un terremoto"

Sono le parole di Giampaolo Giuliani...troppo facile fare ironia sulle capacità profetiche di qualcuno prima dei fatti e troppo facile dire che ora non è il tempo delle polemiche e che comunque sia è impossibile prevedere un terremoto. Ma fare finta che non siano state dette o liquidarle con leggerezza senza appurarne la veridicità o semplicemente attribuirle a un visionario, penso sia irresponsabile e assolutamente vergognoso. Diffido profondamente di chi ha paura del confronto, e in questo caso, chiunque, in varie posizioni di responsabilità, non ha saputo prendersi cura delle comunità che gli erano state affidate, deve avere il coraggio di confrontarsi anche con queste previsioni...e agire responsabilmente.

L'articolo apparso il 1 aprile 2009 sul Corriere della Sera con le parole di Giuliani
Articoli apparsi oggi che si riferiscono alle parole di Giuliani

domenica 22 marzo 2009

Bologna-Cagliari 0-1

Per un tifoso del Bologna, un titolo così non è certo entusiasmante. Però oggi ho portato mio figlio allo stadio per la prima volta. Un giorno comunque da ricordare.

sabato 21 marzo 2009

Cucchiaio di legno

Quest'anno è nostro!
Il "prestigioso" trofeo del 6 nazioni, assegnato a chi perde tutte le partite, l'abbiamo portato a casa...e devo dire anche meritatamente.
Speriamo meglio l'anno prossimo

22 marzo 2009 - World water day

Sul sito delle Nazioni Unite ho trovato la locandina del 2008. Il fatto che anche loro siano in ritardo non è certamente di buon auspicio. Forse è davvero il caso che si faccia qualcosa tutti insieme, dal basso...senza aggravare i già tanti ritardi.
Alcuni dati dal Corriere della Sera

giovedì 19 marzo 2009

XIV giornata della memoria...

...delle vittime di mafia!
Non tutti potranno esserci fisicamente perchè si svolgerà a Napoli. Un pensiero, però, è accessibile a tutti.

Maggiori info sul sito di Libera

Fatalità

giovedì 19 febbraio 2009

Arisa

Ogni anno è una lotta in famiglia...alla fine vince sempre mia moglie e il telecomando, quando c'è Sanremo, ce l'ha lei! Una gran fatica...Ieri sera, però, dopo tanti sbadigli e i soliti commenti sale sul palco una ragazza che tanto assomiglia a uno di quei personaggi di Anna Marchesini. Penso sia uno scherzo, che prima o poi qualcuno si toglierà la maschera e si rivelerà al pubblico. Beh, non succede niente di tutto ciò. La ragazza inizia a cantare e, a differenza delle altre canzoni che bisogna ascoltarle più volte, bastano tre note per accendere l'interesse mio e anche del pubblico in sala che inizia a battere le mani a ritmo. Lei è Arisa, il video della sua canzone è sul sito Rai.tv. Basta scaricare un semplice software...

Video

martedì 27 gennaio 2009

Giornata della memoria

Grazie a Elena pubblico questa lettera che magari non trova tutti d'accordo, però fa certamente riflettere.


«hai fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori dicendo che li hanno usati come scudi. Non so pensare a nulla di più infame (…) li hai chiusi ermeticamente in un territorio, e hai iniziato ad ammazzarli con le armi più sofisticate, carri armati indistruttibili, elicotteri avveniristici, rischiarando di notte il cielo come se fosse giorno, per colpirli meglio. Ma 688 morti palestinesi e 4 israeliani non sono una vittoria, sono una sconfitta per te e per l’umanità intera».
(Stefano Nahmad, la cui famiglia ha subito le persecuzioni naziste)

Insegno in una scuola serale per lavoratori, in gran parte stranieri. E’ un ottimo osservatorio per capire quel che accade nel mondo. L’anno scorso, avvicinandosi il giorno della memoria che ogni anno si celebra nelle scuole, leggemmo brani dal libro Se questo è un uomo di Primo Levi. Avevamo parlato molto della questione ebraica, e della storia del popolo ebreo dalle epoche lontane al ventesimo secolo. Proposi che tutti scrivessero un breve testo sugli argomenti di cui avevamo parlato.
Claude D, un ragazzo senegalese di circa venti anni, piuttosto pigro ma dotato di vivacissima intelligenza concluse il suo lavoro con queste parole: “Ogni anno si fanno delle cerimonie per ricordare lo sterminio degli ebrei, ma gli ebrei non sono i soli che hanno subito violenza. Perché ogni anno dobbiamo stare lì a sentire i loro pianti quando altri popoli sono stati ammazzati ugualmente e nessuno se ne preoccupa?”
Questa frase mi colpì, e decisi di proporla alla discussione della classe, in cui oltre Claude c’erano cinque italiani due marocchini un peruviano una brasiliana, un somalo, due ragazze romene una ucraina e due russi. L’opinione di Claude era quella di tutti. Sia ben chiaro: nessuno mise in dubbio la verità storica dell’Olocausto, neppure Yassin, un ragazzo marocchino appassionato alla causa palestinese e sempre pronto a criticare con durezza Israele. Tutti avevano seguito con attenzione e partecipazione la lettura delle pagine di Primo Levi. Però tutti mi chiedevano: perché non si fanno cerimonie pubbliche dedicate allo sterminio dei rom, dei pellerossa, o allo sterminio in corso dei palestinesi? Claude a un certo punto uscì fuori con una frase che non potevo contestare: perché nessuno ha pensato a un giorno della memoria dedicato all’olocausto africano? Pensai ai milioni di suoi antenati deportati da negrieri schiavisti, pensai all’irreparabile danno che questo ha prodotto nella vita dei popoli del golfo d’Africa occidentale, e conclusi il discorso in maniera che a tutti apparve risolutiva (vorrei quasi dire salomonica): “Nel giorno della memoria si ricorda l’Olocausto ebraico perché attraverso questo sacrificio si ricordano tutti gli Olocausti sofferti dai popoli di tutta la terra.”

Ammesso che la parola “identità” significhi qualcosa, e non lo credo, per me l’identità non è definita dal sangue e dalla terra, blut und boden come dicono i romantici tedeschi, ma dalle nostre letture, dalla formazione culturale e dalle nostre mutevoli scelte. Perciò io affermo di essere ebreo. Non solo perché ho sempre avuto un interesse fortissimo per le questioni storiche e filosofiche poste dall’ebraismo della diaspora, non solo perché ho letto con passione Isaac Basheevis Singer e Abraham Jehoshua, Gerhom Sholem, Akiva Orr, Else Lasker Shule e Daniel Lindenberg, ma soprattutto perché mi sono sempre identificato profondamente con ciò che definisce l’essenza culturale dell’ebraismo diasporico. Nell’epoca moderna gli ebrei sono stati perseguitati perché portatori della Ragione senza appartenenza. Essi sono l’archetipo della figura moderna dell’intellettuale. Intellettuale è colui che non compie scelte per ragioni di appartenenza, ma per ragioni universali. Gli ebrei, proprio perché la storia ha fatto di loro degli apatridi, hanno avuto un ruolo fondamentale nella costruzione della figura moderna dell’intellettuale ed hanno avuto un ruolo fondamentale nella formazione dell’Illuminismo e della laicità, e anche dell’internazionalismo socialista.
Come scrive Singer, nelle ultime pagine del suo Meshugah.
“La libertà di scelta è strettamente individuale. Due persone insieme hanno meno libertà di scelta di quanto ne abbia una sola, le masse non hanno virtualmente nessuna possibilità di scelta.”
Per questo io sono ebreo, perché non credo che la libertà stianell’appartenenza, ma solamente nella singolarità. So bene che nel ventesimo secolo gli ebrei sono stati condotti dalla forza della catastrofe che li ha colpiti, a identificarsi come popolo, a cercare una terra nella quale costituirsi come stato: stato ebraico. E’ il paradosso dell’identificazione. I nazisti costrinsero un popolo che aveva fatto della libertà individuale il valore supremo ad accettare l’identificazione, la logica di appartenenza e perfino a costruire uno stato confessionale che contraddice le premesse ideologiche che proprio il contributo dell’ebraismo diasporico ha introdotto nella cultura europea.
In Storia di amore e di tenebra scrive Amos Oz: “Mio zio era un europeo consapevole, in un’epoca in cui nessuno in Europa si sentiva ancora europeo a parte i membri della mia famiglia e altri ebrei come loro. Tutti gli altri erano panslavi, pangermanici, o semplicemente
patrioti lituani, bulgari, irlandesi slovacchi. Gli unici europei di tutta l’Europa, negli anni venti e trenta, erano gli ebrei. In Jugoslavia c’erano i serbi i croati e i montenegrini, ma anche lì vive
una manciata di jugoslavi smaccati, e persino con Stalin ci sono russi e ucraini e uzbeki e ceceni, ma fra tutti vivono anche dei nostri fratelli, membri del popolo sovietico.”

Il mio punto di vista sulla questione mediorientale è sempre stato lontano da quello dei nazionalisti arabi. Avrei mai potuto sposare una visione nutrita di autoritarismo e di fascismo? E oggi potrei forse sposare il punto di vista dell’integralismo religioso che pervade la rabbia dei popoli arabi e purtroppo ha infettato anche il popolo palestinese nonostante la sua tradizione di laicismo? Proprio perché non ho mai creduto nel principio identitario non ho mai provato particolare affezione per l’idea di uno stato palestinese. I palestinesi sono stati costretti all’identificazione nazionale dall’aggressione israeliana che dal 1948 in poi si è manifestata in maniera brutale come espulsione fisica degli abitanti delle città, come cacciata delle famiglie dalle loro abitazioni, come espropriazione delle loro terre, come distruzione della loro cultura e dei loro affetti. “Due popoli due stati” é una formula che sancisce una disfatta culturale ed etica, perché contraddice l’idea - profondamente ebraica - secondo cui non esistono popoli, ma individui che scelgono di associarsi. E soprattutto contraddice il principio secondo cui gli stati non possono essere fondati sull’identità, sul sangue e sulla terra, ma debbono essere fondati sulla costituzione, sulla volontà di una maggioranza mutevole, cioè sulla democrazia.
Pur avendo un interesse intenso per l’intreccio di questioni che la storia ebraica passata e recente pone al pensiero, non ho mai scritto su questo argomento neppure quando l’assedio di Betlemme o il massacro di Jenin o l’orribile violenza simbolica compiuta da Sharon nel settembre del 2000 o i bombardamenti criminali dell’estate 2006 provocavano in me la stessa ribellione e lo stesso orrore che provocavano gli attentati islamici di Gerusalemme o di Netanja o gli omicidi casuali di cittadini israeliani provocati dal lancio di razzi Qassam.
Non ho mai scritto nulla, (mi dispiace doverlo dire), perché avevo paura. Come ho paura adesso, non lo nascondo. Paura di essere accusato di una colpa che considero ripugnante - l’antisemitismo. So di poter essere accusato di antisemitismo a causa della convinzione, maturata attraverso la lettura dei testi di Avi Shlaim, e di cento altri studiosi in gran parte ebrei, che il sionismo, discutibile nelle sue scelte originarie, si è evoluto come una mostruosità politica. Pur avendo paura non posso però più tacere dopo aver discusso con lo studente Claude. Considero il sionismo causa di infinite ingiustizie e sofferenze per il popolo palestinese, ma soprattutto lo considero causa di un pericolo mortale per il popolo ebraico. A causa della violenza sistematica che il sionismo ha scatenato negli ultimi sessant’anni, la bestia antisemita sta riemergendo, e sta diventando maggioritaria se non nel discorso pubblico nel subconscio collettivo.
Dato che non è possibile affermare a viso aperto che il sionismo è una politica sbagliata che produce effetti criminali, molti non lo dicono, ma non possono impedirsi di pensarlo.
Aprendo la discussione sulle parole dello studente Claude, ho scoperto che gli altri studenti, italiani e marocchini, romeni e peruviani, che pure nel loro svolgimento avevano trattato la questione secondo gli stilemi politicamente corretti, costretti ad approfondire il ragionamento e a far emergere il loro vero sentimento, finivano per identificare il sionismo con il popolo ebraico e quindi a ripercorrere la strada che conduce verso l’antisemitismo. Considerando criminale e arrogante il comportamento dello stato di Israele, identificandosi spontaneamente con il popolo palestinese vittimizzato, finivano inconsapevolmente per riattivare l’antico riflesso anti-ebraico.
Proprio la rimozione e il conformismo che si coltivano nel giorno della memoria stanno producendo nel subconscio collettivo un profondo antisemitismo che non si confessa e non si esprime. Perciò credo che occorra liberarsi della rimozione e denunciare il pericolo che il sionismo aggressivo rappresenta soprattutto per il popolo ebraico.
Trasformare la questione ebraica in un tabù del quale è impossibile parlare senza incorrere nella stigmatizzazione benpensante sarebbe (anzi è già) la condizione migliore per il fiorire dell’antisemitismo.

Si avvicina il 27 gennaio, che sarà anche quest’anno il giorno della memoria. Come potrò parlarne nella classe in cui insegno quest’anno?
Non c’è più Claude, ma ci sono altri ragazzi africani e arabi e slavi ai quali non potrò parlare dell’immane violenza che colpì il popolo ebraico negli anni Quaranta senza riferirmi all’immane violenza che colpisce oggi il popolo palestinese. Se tacessi questo riferimento apparirei loro un ipocrita, perché essi sanno quel che sta accadendo.
E come potrò tacere le analogie tra l’assedio di Gaza e l’assedio del Ghetto di Varsavia del quale abbiamo parlato recentemente? E’ vero che gli ebrei uccisi nel ghetto di Varsavia nel 1943 furono 58.000 mentre i morti palestinesi sono per il momento solo mille. Ma come dice Woody Allen i record sono fatti per essere battuti. La logica che ha preparato la ghettizzazione di Gaza (che un cardinale cattolico ha definito “campo di concentramento”) non è forse simile a quella che guidò la ghettizzazione degli ebrei di Varsavia? Non vennero forse gli ebrei di Varsavia costretti ad ammassarsi in uno spazio ristretto che divenne in poco tempo un formicaio? Non venne forse costruito intorno a loro un muro di cinta della lunghezza di 17 chilometri di tre metri di altezza esattamente come quello che Israele ha costruito per rinchiudere i palestinesi? Non venne agli ebrei polacchi impedito di uscire dai valichi che erano controllati da posti di blocco militari?
Per motivare la loro aggressione che uccide quotidianamente centinaia di bambini e di donne, i dirigenti politici israeliani denunciano i missili Qassam che in otto anni hanno causato dieci morti (tanti quanti l’aviazione israeliana uccide in mezz’ora). E’ vero: è terribile, è inaccettabile che il terrorismo di Hamas colpisca la popolazione civile di Israele. Ma questo giustifica forse lo sterminio di un popolo? Giustifica il terrore indiscriminato, la distruzione di una città? Anche gli ebrei di Varsavia usarono pistole, bombe a mano, bottiglie molotov e perfino un mitra per opporsi agli invasori. Armi del tutto inadeguate, come lo sono i razzi Qassam. Eppure nessuno può condannare la difesa disperata degli ebrei di Varsavia.
Cosa posso dire, dunque, nel giorno della memoria? Dirò che occorre ricordare tutte le vittime del razzismo, quelle di ieri e quelle di oggi. O questo può valermi l’accusa di antisemitismo?

Se qualcuno vuole accusarmi a questo punto non mi fa più paura. Sono stanco di impedirmi di parlare e quasi perfino di pensare ciò che appare ogni giorno più evidente: che il sionismo aggressivo, oltre ad aver portato la guerra e la morte e la devastazione al popolo palestinese, ha stravolto la stessa memoria ebraica fino al punto che nelle caserme israeliane sono state trovate delle svastiche, e fino al punto che cittadini israeliani bellicisti hanno recentemente insultato cittadini israeliani pacifisti con le parole “con voi Hitler avrebbe dovuto finire il suo lavoro”.
Proprio dal punto di vista del popolo ebraico il sionismo aggressivo può divenire un pericolo mortale. L’orrenda carneficina che Israele sta mettendo in scena nella striscia di Gaza, come i bombardamenti della popolazione di Beirut due anni fa, sono segno di demenza suicida. Israele ha vinto tutte le guerre dei passati sessant’anni e può vincere anche questa guerra contro una popolazione disarmata. Ma la lezione che ne ricavano centinaia di milioni di giovani islamici che assistono ogni sera allo sterminio dei loro fratelli palestinesi è destinata a far sorgere un nuovo nazismo.
Israele può sconfiggere militarmente Hamas. Può vincere un’altra guerra come ha vinto quelle del 1948 del 1967 e del 1973. Può vincere due guerre tre guerre dieci guerre. Ma ogni sua vittoria estende il fronte dei disperati, il fronte dei terrorizzati che divengono terroristi perché non hanno alcuna alternativa. Ogni sua vittoria approfondisce il solco che separa il popolo ebraico da un miliardo e duecentomilioni di islamici. E siccome nessuna potenza militare può mantenere in eterno la supremazia della forza, i dirigenti sionisti aggressivi dovrebbero sapere che un giorno o l’altro l’odio accumulato può dotarsi di una forza militare superiore, e può scatenarla senza pietà, come senza pietà oggi si scatena l’odio israeliano contro la popolazione indifesa di Gaza.

lunedì 26 gennaio 2009

Manifestazione



Ad essere sincero non ho seguito molto i telegiornali di questi ultimi giorni, però in quel poco che ho visto, non mi è parso di sentire molto di questa manifestazione. In rete invece se ne parla molto.
Alcuni link

Marco Travaglio
Beppe Grillo

giovedì 22 gennaio 2009

Firme

Alcuni politici (chi mi conosce sa di chi parlo) firmano promesse o contratti con interi popoli, altri firmano fatti...e speriamo che continuino

M'illumino di meno

E' il titolo di un'iniziativa di caterpillar... La pubblico oggi, così chi la trova interessante può già provare a fare qualcosa già da oggi!...magari facendo anche qualcosa di diverso. Parlando di risparmio, di ambiente, di ecologia credo sia necessaria la fantasia di tutti.